venerdì 24 febbraio 2012

L'onore alle donne asiatiche

Jasvinder Sanghera è l’autrice di un interessante libro, Daughters of shame, recentemente tradotto da Piemme con il tiolo Prigioniere dell’amore. Non si tratta di un romanzo ma del resoconto vivo e appassionato di un’associazione attiva da anni in Inghilterra, la Karma Nirvana. Jasvinder Sanghera è la responsabile e fondatrice di un’associazione  che dà rifugio e assistenza alle donne asiatiche vittime di violenze, abusi e matrimoni forzati.
La realtà femminile delle donne asiatiche emigrate non è diversa da quella dei loro paesi di origine. Vivere a Londra o in grandi ed  evolute città occidentali non sottrae le donne da una cultura ferrea che vuole la donna vittima di soprusi e vessazioni.
Jasvinder Sanghera ha vissuto in prima persona la difficile esperienza di fuga da una famiglia violenta che voleva forzatamente sposarla ad uno sconosciuto. La sua è la storia di tante donne  costrette a sposarsi in età adolescenziale, forzate a lasciare gli studi e i propri sogni. Spesso i futuri mariti vivono ancora nei paesi di origine: in India e Pakistan. Il matrimonio permette loro di ottenere un visto di ingresso.
Per le donne questa pratiche è accompagnata, prima e dopo, da intimidazione e violenza. L’onore della famiglia non deve essere calpestato. Alcune famiglie arrivano a seviziare le figlie recalcitranti, altre ad ucciderle.
Siamo in Inghilterra! Non in uno sperduto e tradizionale villaggio del Punjab! Sulla condizione difficile delle donne  mi ero già soffermata. Molto spesso in India  si assiste ancora alla pratica dei matrimoni in giovane età. In Rajastan il 56% delle donne si sposa in età scolare. Si tratta di una promessa di matrimonio che a volte può avvenire anche a 5 o 6 anni per le bambine, o 10-12 anni per i bambini. La coppia si unisce fisicamente quando la bambina raggiunge la pubertà. Recentemente si è arrivati alla maggiore età. Un interessante e dettagliato romanzo racconta questa pratica nell’India del secolo scorso, La sposa bambina di Viswanathan Padma
Ma cosa rappresenta il disonore per una famiglia asiatica in Asia così come in Occidente? Parlare con un ragazzo, possedere un cellulare, andare al cinema con le amiche, avere una relazione con qualcuno esterno alla comunità di appartenenza,  rifiutare un matrimonio a 16 anni con uno sconosciuto, avere dei sogni. Tutto questo è disonorevole. E allora si viene picchiate, minacciate, seguite, cercate, scovate, segregate, forzate, stuprate, punite, uccise.
Le richieste di aiuto vengono inascoltate perché la società occidentale ritiene al limite dell’impossibilità e della veridicità alcune logiche culturali. Come si può, si chiede nostra società, arrivare a questo? Si tratta di una famiglia! Eppure, ricordiamolo, anche nelle nostre famiglie, tra le mura domestiche, si perpetrano le violenze più subdole e ciniche.
I servizi di assistenza esterni sono spesso insufficienti o non idonei: polizia, assistenza sociale, ospedali, psicologi non hanno i mezzi per comprendere determinate situazioni o arrivano ad intervenire quando ormai è troppo tardi. Il seguire un protocollo specifico o  una bieca burocrazia che vuole rintracciare “casi –modello”, porta a commettere errori gravissimi che ricadono sulle vittime. Cosa fanno, anche in Italia, i servizi sociali, per assistere realmente una donna minacciata di violenza? Esistono centri di violenza, certamente. Ma quando intervengono? Come intervengono? Con quali leggi attive, rapide, risolutive? Quante volte abbiamo sentito di donne stuprate o perseguitate che non hanno ottenuto giustizia. Qual è la giustizia? Spesso le vittime di queste violenze non hanno il coraggio di denunciare perché gli aggressori sono famigliari, perché non si sentono tutelate e protette, perché  hanno paura di ritorsioni. Intorno a queste  donne aleggia una nuvola di promesse, di possibilità e di rassicurazioni che spesso sono vuote parole.
L’onore, lo izzat o iard, è la pietra angolare della comunità asiatica, tocca alle donne preservarlo. Le ultime statistiche dell’Onu pubblicate nel 2007 a riguardo sono agghiaccianti: si parla di 5000 morti l’anno. Tali dati riguardano India, Pakistan, Giordania, Egitto, Gaza, Cisgiordania. Le comunità più ferree sono quelle curde dell’Iraq o quelle palestinesi di Cisgiordania, Pakistan e Turchia. Come mette in evidenza il testo di Sanghera, tale logica si sta diffondendo anche in Occidente: in Inghilterra, Belgio, Russia, Canada. In Occidente, come in Oriente,  le donne vengono uccise. In Turchia, tra il 2000 e il 2006, sono state uccise per motivi di onore 480 donne, un quinto delle quali tra i 19 e i 25 anni. Tra il 1997 e il 2007 nelle province curde dell’Iraq sono state assassinate 12.500 donne per motivi di onore. Solo 5 assassini sono stati condannati.  L’errore è quello di credere che si tratti di pratiche e mentalità legate all’Islam. Tale logica è  solo universalmente folle. Si tratta di tradizioni “tribali” più che religiose. Il Corano non parla di delitti d’onore, solo di frustate in caso di adulterio. Storicamente la lapidazione era un’usanza ebraica. La Chiesa cattolica bruciava le streghe sul rogo!
In Inghilterra, insieme all’associazione Karma Nirvana, è nata la Forced Married Unit che la Home Office e il Foreign and Commonwealth Office hanno designato come l’organismo incaricato del salvataggio e della protezione delle ragazze inglesi costrette al matrimonio forzato. Nel 2007 la Camera dei Lord ha presentato il Forced Mariage (Civil Protection) Act, un progetto di legge volto ad impedire i matrimoni forzati alle giovani adolescenti asiatiche.
Daughters of shame mette in luce l’assurdità di una logica che non ha apparente spiegazione. Spesso a perseguitare o forzare le figlie sono le stesse madri. Perché? Perché anche la figlia deve subire quello che lei è stata presumibilmente costretta a subire. Una logica che si reitera. Una violenza che permane inascoltata.

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